Rete Mimetica : Dalla mimesi al fake analisi artistico psicologica è uno studio nato nel 2017 momento in cui il concetto di fake news iniziava a popolare sul web a tal punto da essere considerato una vera è propria minaccia.
La tematica è stata affrontata e approfondita all’interno del percorso di tesi, in essa ho avuto la possibilità di avere spunti e consigli importanti da uno dei massimi esperti nel settore: il ricercatore Walter Quattrociocchi.
Da questo confronto è nato “Don’t Feed the fake”: quando l’informazione ha il potere; un’ intervista capace di definire gli aspetti più importanti e le linee guida per comprendere al meglio le notizie ed evitare di cascare nelle trappole che si presentano sul web e non solo. Nell’elaborato video ho eseguito le riprese presso il Polo Tecnologico Lucchese. Ringrazio ulteriormente il ricercatore Walter Quattrociocchi, attualmente insegnante di Scienze Informatiche all’Università Cà Foscari, dove dirige il laboratorio Data Science and Complexity.
Presto sarà visibile l’intervista completa sul mio profilo YouTube.
Nel frattempo ho ripreso in mano il progetto al quale sto implementando una parte introduttiva per renderlo disponibile anche online sotto forma di e-book! Sarei molto entusiasta di poter condividere queste importantissime nozioni, in quanto è necessario assumere una consapevolezza di ciò che significa l’ informazione mediata da internet.
Rete Mimetica : Dalla mimesi al fake analisi artistico psicologica sul web dell’inganno (estratto tesi)
Nell’accezione di Mimesi possiamo costruire le basi per affrontare un percorso artistico-psicologico capace di mostrarci un web dai risvolti inusuali e ingannevoli, soffermandoci soprattutto sul fenomeno dei “fake” che, ad oggi, può essere considerato una vera e propria minaccia per la rete internet.
Il fenomeno fake verrà trattato a partire dalla “mímesis” elaborata nella cultura e nell’arte della Grecia classica da grandi filosofi come Platone e Aristotele i quali furono i primi ad affrontare nel dettaglio la concezione di mimesis, come imitazione regolatrice della “conditio humana”, responsabile nell’apprendimento dell’educazione e con l’aiuto della quale l’educazione ha luogo.
Proprio nella giovinezza una buona parte dei processi di apprendimento sono di carattere mimetico”.[1]
In un senso più ampio di riproduzione del reale, il concetto di mimesi può comprendere anche la letteratura, la fotografia, il cinema, la televisione e la rete internet.
Affronteremo il passaggio in questi campi per giungere a trattare il fake come ciò che fin dai tempi di Platone era la “copia della copia” collegando la mimesi antica al concetto di arte; quest’ultima, infatti, è una rappresentazione della realtà, una copia di essa, l’oggetto artistico, perciò, non è altro che il risultato di una attività di mimesi.
1936
Nel suo saggio “L’ opera d’arte nel tempo della sua riproducibilità tecnica” Walter Benjamin esamina il concetto di perdita dell’aura dovuto ai cambiamenti socio-culturali nati con l’affermarsi della società di massa e il distacco dalla tradizione.
Il legame opera-fruitore nominato dallo stesso Benjamin “auratico” perde la sacralità propria dell’arte antica. La “perdita dell’aura” dell’opera d’arte viene sostituita dal concetto di riproducibilità seriale, definita dal filosofo Benjamin “epoca della riproducibilità digitale”[2].
Nel digitale si innesca un processo in cui l’opera è generata da codici e può essere tale solo se attivata dallo spettatore, pertanto il ruolo dell’artista cambia, e affida allo spettatore la possibilità di mettere in atto il processo artistico e creativo.
Sia Debray che Baudrillard, ad esempio, ritengono che l’immagine digitale creata al computer non sia una copia di un oggetto già esistente nella realtà, ma sono i prodotti reali ad imitare la simulazione elettronica per poter esistere.[3]
Con le nuove forme d’arte digitale (dagli ipertesti, agli ambienti sensibili, alla realtà virtuale) si aprono infiniti modi di interazione e di creazione personale.
Ad esempio, l’Interactive Art (dalla virtual art, alla net-art a certe espressioni di arte elettronica o biotecnologica) funziona grazie all’intervento del fruitore, oppure dell’ambiente in cui ha luogo, in cui senza uno stimolo esterno di carattere fisico perderebbe la valenza di opera d’arte.[4]
[1] C. Wulf, Mimesis. L’arte e i suoi modelli, trad. it. a cura di Paolo Costa, Milano, Mimesis, 1995, p. 23.
[2] J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, trad. it. di B. Gennaro, Milano, Guerini & Associati, 2002, p. 103. Cfr. A. Bal- zola, Linguaggi ed est-etiche nell’era digitale, in A. Caronia, E. Livraghi, S. Pezzano, L’arte nell’era della producibilità digitale, Milano, Mimesis, 2006, p. 21.
[3] S. Pezzano, L’immagine digitale. Una vera-falsa ‘nuova immagine, in “Leitmotiv”, n. IV, anno 2004, p. 70.
[4] E. Di Stefano, Arte e nuove tecnologie: fine della mimesis?, a cura di Rita Messori, Modena, Mucchi Editore, 2012, p. 124.